No products in the cart.
Il termine Burnout (letteralmente “bruciato”), fu utilizzato per la prima volta nel mondo sportivo intorno agli anni ‘30 per indicare l’incapacità di un atleta di continuare ad avere buoni risultati, il termine “Burnout” solo in seguito indicò, negli States degli anni ’70, una condizione di estremo esaurimento che riguardava determinate professioni, le cosiddette “helpingh professions”, come infermieri, medici, vigili del fuoco o psichiatri.
Il termine è stato poi ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach nel 1976 per indicare una “patologia comportamentale” a carico di alcune professioni contraddistinte da un’elevata implicazione relazionale.
“Una sindrome da esaurimento emotivo, risultante dallo stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo. Può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente come reazione alla tensione emotiva cronica del contatto continuo con esseri umani, in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza.
Dal maggio 2019 il Burnout è riconosciuto come sindrome cioè come un insieme di sintomi, che non hanno un riferimento certo rispetto alle loro cause e alla loro comparsa e che quindi potrebbe essere espressione di malattie di natura diversa.
Cos’è il Burnout
Il termine Burnout indica quella sensazione che si può avere quando si è sottoposti ad un duro stress emotivo e cronico sul posto di lavoro.
Riguarda, quindi, per lo più la sfera professionale ed è l’esito patologico di un lungo processo che colpisce soprattutto le persone che esercitano professioni di aiuto (come gli infermieri, gli insegnanti, gli educatori), ma anche tutti coloro che si sentono schiacciati, frustrati o hanno un senso di rigetto verso il proprio lavoro.
Caratterizzata da un progressivo declino delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali, la sindrome del Burnout ha più probabilità di svilupparsi in situazioni di forte divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che lo svolge.
In particolare quando le direttive provenienti da un livello superiore non tengono conto della realtà del livello inferiore, semplicemente perché il livello superiore non conosce la realtà sottostante. Si crea così una realtà paradossale in cui le richieste di operatività date dal livello superiore non possono essere eseguite per coerenza professionale e la disobbedienza diventa l’unico modo per obbedire al proprio mandato professionale interno.
Come si manifesta
Maslach descrive le manifestazioni di Burnout raggruppandole in tre fasce:
- Esaurimento Emotivo: La sensazione di essere emotivamente svuotati e annullati dal proprio lavoro, ma anche delle relazioni sociali, demotivazione, difficoltà di concentrazione e sensi di colpa;
- Depersonalizzazione: descrive quell’atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura;
- Ridotta realizzazione personale: riguarda la percezione della propria inadeguatezza in ambito lavorativo, la caduta dell’autostima ed il sentimento di insuccesso e inefficacia nel proprio lavoro.
Lo strumento di valutazione di queste tre dimensioni utilizzato nella sindrome del Burnout è il Maslach Burnout Inventory (MBI)
Sindrome di Burnout: i sintomi
In caso di Burnout non è necessariamente presente un disturbo della personalità bensì del ruolo lavorativo. Tutti i sintomi del Burnout sono riconducibili ai disturbi dello spettro ansioso-depressivo e sottolineano la tendenza dei soggetti alla somatizzazione e allo sviluppo di disturbi comportamentali.
Malessere al pensiero del lavoro, perdita di coinvolgimento emotivo, calo dell’autostima o insonnia sono solo alcuni dei segnali con cui prende forma il Burnout. Ma, nello specifico, si possono distinguere i sintomi in comportamentali, fisici e psichici.
I sintomi comportamentali
- assenteismo o alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno
- isolamento e ritiro
- senso di stanchezza ed esaurimento già dal mattino
- affaticamento dopo il lavoro
- difficoltà a scherzare sul lavoro
- perdita dell’autocontrollo
- conflitti in famiglia
- eccessivo uso di sigarette, farmaci, alcol
I sintomi fisici
- stanchezza e irritabilità
- sonno
- crisi di affanno o di pianto
- dolori alla schiena, alla testa e al petto
- frequenti raffreddori e influenze
- frequenti mal di testa e problemi gastrointestinali
- stanchezza agli arti inferiori
- dolori viscerali
- diarrea
- inappetenza e nausea
- vertigini
- dolori al petto
- crisi di affanno
- crisi di pianto
I sintomi psichici
- stato di costante tensione
- irritabilità, rabbia e risentimento
- cinismo
- negativismo
- depersonalizzazione
- senso di colpa e disistima
- senso di frustrazione o di fallimento
- ridotta produttività
- reazioni negative verso familiari e colleghi
- apatia o irrequietezza
- ansia e depressione
- scoraggiamento e indifferenza
- disimpegno sul lavoro e distacco emotivo
A volte i soggetti coinvolti in queste situazioni avvertono un disagio talmente forte da arrivare a tenerlo sotto controllo abusando di alcool, fumo, sostanze psicoattive, farmaci. Per questo sarebbe meglio occuparsi del problema cercando di prevenirlo anziché di curarlo quando ormai presente.
Le cause del Burnout
Il Burnout non sembra essere un problema solo dell’individuo in quanto tale, ma soprattutto del contesto sociale in cui opera che deve necessariamente tener conto dell’aspetto umano del lavoro.
Differenza di genere (le donne sono più predisposte degli uomini), di età (nei primi anni di carriera si è più predisposti) e lo stato civile (le persone senza un compagno stabile più predisposte), sono considerati i primi tre fattori di rischio per una condizione di Burnout.
Ma sul luogo di lavoro ci possono essere molteplici potenziali fattori di stress che possono sfociare nel Burnout, innanzitutto l’incapacità di trovare una motivazione.
Ecco le più diffuse cause di Burnout al lavoro:
- aumento di responsabilità senza la giusta compensazione
- sovraccarico di lavoro
- mancanza del senso di appartenenza al gruppo di lavoro
- assenza di equità
- scarsa e inadeguata remunerazione
- gratificazioni insufficienti
- frequenti conflitti nella programmazione del lavoro o interruzioni
- cambiamenti organizzativi o cambiamento di mansioni
- termini e scadenze irrealistici
- mancanza di controllo da parte del datore di lavoro
- valori contrastanti tra quelli professionali e quelli promossi dall’ente per cui si lavora
- programmi che cambiano spesso
- difficili interazioni con colleghi o clienti (rabbia, invidie…)
- per chi fa lavori manuali l’esposizione alle intemperie e il sollevamento di carichi pesanti
Secondo la Maslach, un importante fattore di rischio è la mancanza di coinvolgimento del lavoratore nelle decisioni che incidono direttamente sul suo ambito lavorativo (che così vengono viste come “imposizioni”).
Inoltre anche le aspettative poco certe sono motivo di esaurimento: un’ambiguità di ruolo, cioè insufficienza di informazioni su una determinata posizione, o un conflitto di ruolo, ossia l’esistenza di richieste che l’operatore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale o un sovraccarico oltre le proprie responsabilità.
Giocano inoltre un ruolo fondamentale le vicende personali del lavoratore, la sua situazione affettiva, emotiva, famigliare. Spesso lutti, separazioni, esperienze fallimentari incidono notevolmente sulla percezione di sé come lavoratore, collega, persona competente.
Possiamo poi individuare caratteristiche personali presenti in soggetti più a rischio di Burnout di altri:
- introversione
- personalità autoritaria
- tendenza a porsi obiettivi irrealistici e/o perfezionistici
- abnegazione del lavoro, spesso come sostituzione della vita sociale
- concetto di sè stessi come indispensabili
- motivazione ed aspettative professionali
Il Mobbing
Il termine mobbing è stato introdotto dallo svedese Heinz Leymann (1960), deriva dall’inglese “to mob” che significa aggredire.
Riguarda prettamente la dinamica che si instaura all’interno dell’ambiente lavorativo, nello specifico il processo di aggressione verbale e psicologica e di emarginazione e esclusione attraverso la diffusione di maldicenze, critiche continue, sistematica persecuzione, l’assegnazione di compiti dequalificanti, la compromissione dell’immagine sociale nei confronti di superiori, clienti, colleghi con conseguenti ripercussioni psicologiche, emotive e fisiche in chi subisce questi attacchi aggressivi.
Il soggetto coinvolto in questa dinamica può sviluppare una sintomatologia psicosomatica che impedisca a lungo andare proprio la continuità nell’impegno lavorativo. Il mobbing è sempre esercitato da parte di chi è in posizione di superiorità nei confronti di un subalterno.
Ovviamente un ambiente lavorativo mal strutturato e mal gestito favorisce entrambe le dinamiche (Mobbing e Burnaut) che possono trovarsi in comorbilità.
Il Burnout negli educatori degli asili nido
Negli asili nido risulta sempre evidente la centralità del bambino e il suo benessere, ciò che risulta meno evidente è che il benessere del bambino passa attraverso il benessere degli adulti che si prendono cura di lui, quindi principalmente i suoi genitori e le educatrici del nido.
E’ difficile mettere al centro delle attenzioni il bambino senza rinunciare a qualche cosa di sé, ma è sbagliato, il benessere dell’adulto è estremamente funzionale al benessere del bambino. Bisogna quindi che il nido sia per l’educatore un luogo lavorativo che includa fattori di stress il più possibile limitati, che miri a motivare le educatrici verso il proprio lavoro, fornendo percorsi formativi arricchenti e stimolanti.
E’ inoltre necessario il supporto pedagogico da parte di una psicologa dell’infanzia a cui poter fare riferimento in caso di difficoltà, che possa conoscere e osservare i bambini direttamente, le dinamiche tra colleghe, i rapporti con i genitori.
E’ importante che un’educatrice dedita continuamente alla cura dei bambini, si senta a sua volta presa in carico, specialmente se sta attraversando un momento di difficoltà personale o lavorativa, questo supporto evita di arrivare a livelli eccessivi di stress che sarebbero dannosi per il singolo operatore ma anche per il gruppo.
Quest’ultimo può essere un elemento molto positivo, una risorsa e occasione di crescita umana e professionale. La relazione con le colleghe è sicuramente molto intensa e stretta, i caratteri però sono diversi, le emozioni in gioco e le dinamiche relazionali rischiano di diventare complicate al punto che una bella idea o un progetto interessante rischiano di non essere accolti in quanto scatenano sentimenti di invidia o gelosia che conducono a dinamiche distruttive che portano all’esclusione dal gruppo.
Il fatto di essere tutte donne nel gruppo sicuramente non aiuta. Promuovere il benessere personale dell’educatore del gruppo al nido e occuparsi di lui è fondamentale e viene fatto attraverso la figura della psicopedagogista o psicologa presente al nido.
Avere una pedagogista che ricopra un ruolo attivo nei confronti delle educatrici significa per loro poter contare su qualcuno che conosce il gruppo di lavoro e che può intervenire tempestivamente sulle dinamiche del gruppo cercando di renderlo il più possibile unito e collaborante. Una figura in grado di ascoltare ogni singola educatrice, potrà tenere alta la motivazione al lavoro nel gruppo valutando di volta in volta le criticità.
La formazione del personale, la ricerca di spunti innovativi e gratificazioni professionali possono portare altresì ad innalzare il livello di benessere del singolo e del gruppo di lavoro. Il lavoro di gruppo, attraverso momenti di condivisione, permette il confronto e sconfigge la solitudine.
Condividere nel gruppo le proprie fragilità può portare a specchiarsi in qualcun altro che avverte le stesse difficoltà, permette di trovare nuove soluzioni affrontando il problema a più teste. Il lavoro di equipe assume così un ruolo di rilievo in quanto prevede una costante condivisione di obiettivi, strategie e azioni, funge da prevenzione del Burnout in quanto l’operatore non è solo di fronte al problema che può affrontare insieme ai colleghi.
Come uscire dal Burnout
In caso di diagnosi, per superare il Burnout l’approccio migliore è quello multidimensionale, che prevede azioni sia a livello individuale che organizzativo aziendale.
Riconoscere di avere un problema è sicuramente il primo passaggio per poterlo risolvere focalizzando quali sono i fattori scatenanti interni ed esterni sui quali dover intervenire. Quello che bisogna fare è innanzitutto lavorare su sé stessi, cominciare dall’identificare ciò che ha portato a quella eccessiva situazione di stress e sviluppare un “piano alternativo” con l’aiuto di uno specialista che supporti con un intervento di psicoterapia.
In uno stato di malessere è sicuramente necessario un cambiamento, a volte anche drastico (ricerca di un nuovo lavoro e licenziamento), ma soprattutto interno. E’ infatti il modo individuale di interpretare la realtà circostante e lo stile di conoscenza con cui si affrontano le situazioni che può contenere elementi di rischio e malfunzionamento che potrebbero riemergere e creare disagio anche in una nuova realtà lavorativa.
E’ inoltre importante introdurre elementi di cambiamento nell’ambiente, che possano prevenire e evitare situazioni di stress per tutti i lavoratori. E’ quindi interesse anche del gruppo di lavoro occuparsi e intervenire attivamente per aiutare un collega in evidente stato di Burnout.
Se un collega si sentisse male per l’esalazione di un gas nocivo, sicuramente tutti si attiverebbero per risolvere la situazione in quanto potrebbero esserne direttamente colpiti e danneggiati. La presenza di una o più persone in Burnout è indicatore di un ambiente lavorativo che contiene eccessivi elementi di stress e deve quindi essere esaminato e migliorato per la salute emotiva e mentale di tutto il personale.
A livello individuale sono inoltre praticabili piccolissime variazioni che possono portare a un maggiore stato di benessere e riguardano la cura del sé:
- staccare la spina! Concedersi una piccola vacanza, o anche un solo giorno per dedicarsi a qualche cosa di piacevole che aiuti a staccare la mente dai problemi e dalle dinamiche quotidiane.
- Apportare piccole variazioni di maggior confort ai momenti di pausa, cucinarsi qualche cosa di buono, pranzare rilassati
- Fare sport, camminare, muoversi, ballare, sono attività che tengono bassi i livelli di stress
- cambiare atteggiamento, cercando una modalità più empatico per interagire con gli altri
- parlare, condividere con il gruppo, spiegare cosa vi sta succedendo, confidarsi e aprirsi senza vergogna aiuta tantissimo
- non ostinarsi a fare tutto da soli, chiedere aiuto all’equipe
- impostare e raggiungere piccoli obiettivi poco per volta, ciò porta all’aumento di dopamina nel cervello e a piccoli progressi costanti ma costruttivi. Per fare ciò, compilate una lista delle cose da fare, dividendo ogni attività in piccole parti e man mano che i compiti vengono eseguiti spuntare la lista
- coltivare un hobby, al di fuori dell’ufficio un hobby, un interesse da coltivare sono fattori in grado di decomprimere lo stress
- parlare e cercare supporto, confrontarsi con uno specialista esterno al mondo del lavoro
- favorire un sonno riposante sufficiente alle proprie esigenze
- migliorare le proprie abilità di coping. Quest’ultimo riguarda gli sforzi cognitivi e comportamentali che si attivano per fronteggiare specifiche esigenze esterne o interne che vengono vissute come imposizioni o come superiori alle risorse o divergenti rispetto alle motivazioni personali. Le strategie di coping possono essere apprese o migliorate interagendo con gli eventi esterni e prendendone coscienza, osservando quindi i comportamenti e rimodulandoli attraverso una rivisitazione cognitiva.